generale-dalla-chiesa“Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Così parlava Dalla Chiesa in un’intervista concessa a Giorgio Bocca e apparsa su la Repubblica del 10 agosto 1982, meno di un mese prima della morte. Bocca sottolineava che la lotta alla Mafia era stata persa da tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, la Commissione parlamentare d’inchiesta e Danilo Dolci. Ma Dalla Chiesa voleva riprovarci.

Il generale aveva condotto con ottimi risultati, come capo del nucleo speciale antiterrorismo dei carabinieri, la lotta ai gruppi eversivi dell’estrema sinistra, in particolare alle Brigate Rosse. Il governo del paese gli affida poteri speciali: viene nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta al terrorismo, una sorta di reparto speciale del ministero dell’interno, creato proprio per contrastare il fenomeno delle Brigate Rosse che in quegli anni imperversava, con un riferimento particolare alla ricerca investigativa dei responsabili dell’assassinio di Aldo Moro.

Grazie a Dalla Chiesa e ai suoi solleciti al governo del paese viene formalizzata la figura giuridica del pentito. Facendo leva sul pentitismo, senza tralasciare le azioni di infiltrazione e spionaggio, arriva ad individuare ed arrestare gli esecutori materiali degli omicidi di Moro e della sua scorta, oltre che arrestare centinaia di fiancheggiatori. Grazie al suo operato viene riconsegnata all’Arma dei carabinieri una rinnovata fiducia popolare.

Seppur coinvolto in vicende che lo scuotono, alla fine del 1981 diviene vice comandante generale dell’Arma, come già fu il padre Romano in passato. Fra le polemiche prosegue il suo lavoro, confermando e consolidando la sua immagine pubblica di ufficiale integerrimo.

Il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini a Palermo viene ucciso, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, sposata solo 54 giorni prima e all’agente di scorta Domenico Russo. Fu un’attentato mafioso.
L’auto venne affiancata da una BMW con a bordo Antonino Madonia e Calogero Ganci (in seguito pentito), i quali fanno fuoco attraverso il parabrezza, con un fucile kalashnikov AK-47. Nello stesso istante l’auto con a bordo Domenico Russo veniva affiancata da una motocicletta guidata da Pino Greco, che lo fredda. Le carte relative al sequestro di Aldo Moro che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, dopo la sua morte svaniscono: non è stato accertato se sono state sottratte in via Carini o se trafugate nei suoi uffici.

Carlo Alberto Dalla Chiesa fu insignito della Medaglia d’Oro al valor civile oltre ad avere avuto negli anni numerosi riconoscimenti.

 

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