Il 14 giugno è stata la Giornata Mondiale del donatore di sangue e, senza dubbio, un’occasione per fermarsi a riflettere su un gesto tanto importante.


Probabilmente molti di noi conoscono qualcuno che nel suo percorso di vita ha avuto bisogno di una trasfusione, ma molto spesso non ci si sofferma a pensare davvero a cosa ci sia dietro, cosa significhi veramente.

Come Tecnico di Laboratorio Biomedico ho lavorato nel Centro Trasfusionale di un ospedale di Roma. Vedere le cose da quella prospettiva mi ha donato un altro punto di vista. Mi trovavo dall’altra parte. Quella in cui devi trovare la sacca del donatore il più compatibile possibile con il sangue del paziente, e, a volte, anche in procedura di urgenza.

Una grande responsabilità. E per noi che siamo dietro le quinte, una grande soddisfazione nel nostro piccolo, al pari degli altri tecnici che, precedentemente, hanno esaminato quella sacca per verificare che non fosse infetta.
Arrivata la prima volta nel Centro Trasfusionale ho voluto subito conoscere cosa ci fosse “prima” del mio lavoro. Come tecnico non ero tenuta a conoscere tutta la fase della donazione. Personalmente, non conoscere l’inizio di un lavoro da portare a termine, non mi dà soddisfazione. Perciò mi sono fatta guidare da medici e infermieri alla scoperta della Sala Donatori, un’area per me così delicata da muovermi al suo interno quasi con timore reverenziale.

Ogni mattina, già prima del nostro arrivo in ospedale, la sala d’attesa ospitava persone pronte a donare. Ognuna di loro era lì, a volte già informata, altre volte per niente, su quello a cui andava incontro. A digiuno. Capace di attendere anche ore pur di donare. Tutti loro ricevevano un foglio con le informazioni che indicava i casi in cui è possibile donare.

Molti erano lì per un parente o un amico pur sapendo che il proprio sangue non sarebbe andato direttamente alla persona a loro cara (per la famosa compatibilità). Ma lo facevano comunque, come un gesto di ringraziamento: qualcuno dona per noi, noi doniamo per qualcuno!

Su quella poltrona alcuni erano spaventati, altri  abituati perché donatori periodici, ma tutti consapevoli della grandezza del loro gesto.
Non vi nego che ancora a pensarci mi emoziono! È sapere di dare qualcosa che ci appartiene, di preziosissimo, che non si può comprare! Si dà la vita a chi in quel momento, per svariate ragioni, ne ha bisogno, un bisogno assoluto.

Senza quel dono alcune persone potrebbero morire.  Mentre noi in poche ore torneremo ad avere i nostri 4/6 litri di sangue circolante.
Il 14 giugno altro non è che un’occasione in più per ringraziare questi angeli silenziosi e magari per spronarne qualche altro ad aprire le sue ali e cominciare a volare, donando!

Chiara Gobbi

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