Sono approdata da poco nel mondo dei social network e della tecnologia. Non ho mai avuto interesse verso computer, telefonini e tutto ciò che ruota attorno a questa dimensione. Ci sono arrivata per gioco, perché una piovosa domenica pomeriggio di un anno e mezzo fa, spalmata sul divano con  mio moroso ed alle prese con quel nuovo “telefonino intelligente” che mio papà mi aveva regalato per il mio compleanno (ignorando le mie reticenze!), ho pensato che potevo trovare un punto di incontro con quell’aggeggio (a malapena tollerato) scaricando quell’app di cui tutti parlavano che, per quello che avevo capito, aiutava a raccogliere le proprie foto! Non sono di certo una fotografa, ma catturare attimi e colori mi è sempre piaciuto tantissimo, perciò…sì, poteva essere una buona idea! Quell’app si chiamava Instagram!

Da allora è successo tutto molto velocemente. Ho capito che, per me, quell’app non è solo una raccolta di foto, ma è un modo (strano e per molti aspetti lontano anni luce da me) per parlare, per esprimermi, per raccontarmi. E’ un mezzo che mi permette di conoscere persone con cui ho cose in comune, di parlare con loro e di trovare nuovi spunti. Alcune di queste persone sono diventate amiche…o instamiche, come ci diciamo per scherzo. Ed è il mezzo attraverso il quale ho trovato il coraggio di aprire il cassetto in cui da anni giaceva inerte il mio sogno, e di viverlo…o di provarci almeno!

E’ grazie ad Instagram (o per colpa di Instagram, dipende dai punti di vista!) se ora faccio parte di questo gruppo di donne meravigliose e se ho la fortuna di poter scrivere di idee, di esperienze, di ricette.

Ed è grazie ad Instagram che ho “conosciuto” una ragazza che mi ha coinvolto in un’iniziativa che non voglio definire di beneficienza, ma di umanità! Lo scorso dicembre, Cecilia, un ragazza di Cesena che da qualche anno vive e lavora a Londra, ricordandosi che nel mio lavoro di crafter mi occupo anche di tricot e crochet, mi ha scritto per chiedermi se fossi disposta a realizzare qualche berretto, sciarpa o scaldacollo in lana per i rifugiati del Campo di Accoglienza di Calais, in Francia, perché la maggior parte di loro aveva solo i vestiti con cui aveva fatto la traversata in mare quest’estate, vestiti leggeri, dunque, non adatti alle temperatura della Francia settentrionale. Cecilia mi ha raccontato che si trattava di un’iniziativa promossa da Jasmin “Jaz” O’Hara, un’attivista inglese fondatrice di un gruppo chiamato THE WORLDWIDE TRIBE che, periodicamente, anche grazie all’aiuto di un’associazione denominata KNITAID, porta personalmente questo genere di aiuti nei campi di Calais e di Mitilìni, in Grecia. Mi ha assicurato in tutti i modi possibili che non si trattava di una bufala o di una truffa e, a maggior sostegno di tali rassicurazioni, si è addirittura offerta di rimborsarmi i costi della lana che avrei utilizzato e delle spese postali di spedizione.

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A sinistra, Jaz O’hara a Calais qualche settimana fa. A destra, Jaz in Grecia ieri. Photos distributed by The Worldwide Tribe

Mentre leggevo quel messaggio, io ero accoccolata sul divano, con il camino acceso, la musica di Jeff Buckley in sottofondo, le tende della finestra del soggiorno aperte per godermi la neve che stava scendendo, intenta a sferruzzare una sciarpa per me di cui non avevo assolutamente bisogno perché ne ho l’armadio pieno. In un istante mi sono sentita così sfacciatamente fortunata da provarne vergogna. Era da tempo che volevo fare qualcosa di concreto per questi bambini, per queste donne, per questi uomini che, per disperazione, per sfuggire a guerre e violenze e miserie, lasciano tutto, la loro vita, le loro famiglie, la loro terra, imbarcandosi (è proprio il caso di dirlo) in viaggi infernali, estenuanti e spesso, come purtroppo sappiamo bene, mortali, per tentare di costruirsi una vita migliore…anzi, semplicemente una vita. Non ho dubitato nemmeno per un secondo della veridicità delle informazioni che Cecilia mi aveva dato; nelle sue parole c’era troppo entusiasmo, troppa passione, troppa voglia di fare qualcosa di buono per non crederle. Per saperne un po’ di più, comunque, sono andata a vedere i profili Instagram di Jaz  e di KnitAid , come lei stessa mi aveva sollecitato a fare, ed ho scoperto un mondo fatto di persone (non solo donne, come ci si potrebbe aspettare, ma anche uomini!) che “sferruzzano” per aiutare altre persone senza aspettarsi nulla in cambio, per la sola e semplicissima voglia di farlo. Ed ho scoperto che anche i bambini sono coinvolti in prima persona dalle scuole!

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Photos distributed by KnitAid
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Photos distributed by KnitAid

La “questione migranti“, come la chiamano i giornalisti, è una questione delicata, che divide le opinioni e le persone. Ci sono troppi interessi politici ed economici in gioco per potere avere pareri sereni in proposito.

Io, però, la vedo come una “questione di esseri umani“, altrettanto delicata…ma, al tempo stesso, incredibilmente semplice. Fornire cibo, vestiti, conforto, ascolto, comprensione a queste persone, come a qualsiasi altra persona, non è (o non dovrebbe essere) una faccenda politica, economica o ideologica. E’ semplicemente (o dovrebbe esserlo) una faccenda di umanità, empatia, solidarietà, tolleranza. Abbiamo così paura di tutto, ultimamente, che anche regalare una sciarpa ad un ragazzo che ha freddo diventa un problema, una questione che ne apre mille altre, una corsa alla ricerca delle implicazioni. Fra i rifugiati (che brutto dover dare una definizione a tutto, anche alle persone!) ci saranno probabilmente anche delle teste calde; ma dove non ce ne sono? E se rifiutiamo aiuto e sostegno a chi, per un futuro, è disposto a lasciare tutto e farsi trattare come noi trattiamo tutte queste donne, tutti questi uomini e, ahimè, tutti questi bambini, solo perché abbiamo PAURA, allora è il PREGIUDIZIO a guidare le nostre scelte e le nostre azioni!

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Photo distributed by KnitAid
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Photos by Jaz O’Hara
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Alcuni dei bigliettini che le persone hanno inserito nei pacchi contenenti sciarpe e berretti! Photos distributed by KnitAid

Io sono stata educata a non averne. Verso nessuna persona e verso nessuna situazione. Non siamo tutti uguali, certo, ed io non sono migliore di nessuno. Io ho semplicemente deciso di servirmi di una mia inclinazione naturale e di una mia passione per fare qualcosa che, a mio parere, è talmente giusto e naturale da non meritare quasi di parlarne. Ho sferruzzato 3 berretti di lana e 2 sciarpe con l’aiuto di mia mamma. Ho fatto poco, troppo poco, ma i tempi erano molto stretti e lavorare a maglia è una faccenda un tantino lunga. Spero di poter fare altro in futuro e di riuscire a coinvolgere altre persone. Per il momento, Jaz mi ha scritto “Non devi assolutamente pensare di aver fatto poco. Guarda come il tuo lavoro ha fatto la differenza”…e mi ha mandato queste due foto…

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Photo by Jaz O’Hara – Refugee Camp Calais
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Photo by Jaz O’Hara – Refugee Camp Calais

E io, da presuntuosa quale sono, le ho creduto.

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Photo by Jaz O’Hara

Se volete saperne di più su questa iniziativa, oltre ai profili Instagram che vi ho già segnalato, potete dare un’occhiata alla Pagina FaceBook di The Worldwide Tribe  o al sito.

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