Primavera 2016.

Sul piano della cucina sono schierate patata, carota, zucchina, mela grattuggiata, omogeneizzato di pera. Sembra l’inizio di uno svezzamento da manuale, e invece quello con Miriam è stato tutt’altro che così. Come consigliatomi dal pediatra, a sei mesi compiuti le ho messo davanti un cucchiaino colmo di frutta frullata, e all’inizio sembrava aver gradito. Perché non influiva sulla routine della giornata, scandita dai suoi amati biberon di latte. Li terminava tutti, fino all’ultima goccia.

Quando si è trattato di sostituire il biberon del pranzo, con le prime pappe semplici con farina e un po’ di carne, lì sono cominciati i problemi. Pianti drammatici, lacrimoni, tentativi di tuffi carpiati dal seggiolone per sfuggire alle cucchiaiate. All’asilo nido, invece, mangiava angelicamente, senza emettere lamento. Ma a casa non riusciva davvero ad accettare che non la prendessi più tra le mie braccia, cullandola mentre ciucciava latte tiepido. Con l’introduzione della cena, il copione si è ripetuto. I pasti erano delle guerre, alla fine non c’era un vincitore, visto che lei mangiava solo la metà della pappa preparata, condendola con lacrime disperate.

Poi è arrivata l’estate, e con essa le trasferte vacanziere, i nonni, gli zii, i cani, il mare, la sabbia e tutte le distrazioni possibili. Peggio che mai. Ogni giorno preparavo e lei non assaggiava nemmeno una cucchiaiata, e la mia frustrazione saliva, costretta a ripiegare su biberon da lattante. Nonostante i digiuni, Miriam cresceva, quindi la frustrazione era pure doppia.

Autunno 2016, andiamo avanti in questo modo, all’asilo bimba angelica e addirittura mangiona, a casa, a cena e nel fine settimana, scene da esorcismo. L’unico alimento accettato, oltre al latte del mattino, è il prosciutto cotto.

Gennaio 2017, un susseguirsi di malattie, virus vari e gastroenterite portano Miriam, già magra, a dimagrire ulteriormente. Finiamo ricoverate una settimana in ospedale, per monitorare questo stato di sottopeso. Giorni interminabili durante i quali Miriam dà il peggio di sé al momento dei pasti, tanto che le sue urla di rifiuto risuonano in tutto il corridoio, facendo accorrere ogni volta l’infermiera di turno preoccupata. La pediatra, per rincuorarmi, mi dice che la colpa è anche mia, che ansiata dal fatto che mia figlia mangia, trasmetto ansia alla bambina. “Signora, deleghi ai nonni”. Ah quali, quelli distanti 300 km o quelli distanti 900?

Torniamo a casa, decido di delegare l’ormai angosciosa pratica dei pasti al papà. Miriam accetta. Io ci soffro ma vabbè. Facciamo un altro passo in più, la lasciamo libera di gestire il piatto e il cibo come meglio crede. E qui la svolta, una cucchiaiata autonoma dopo l’altra, la bambina riprende a mangiare. O meglio, inizia a mangiare.

Primavera 2017, Miriam ieri sera ha divorato un piatto pasta al sugo, il merluzzo al vapore, e gli spinaci. Spinaci, non so se mi spiego.

Tutto questo per dire che certi svezzamenti non durano 6 mesi canonici, ma molto di più. Durano anche un anno.

Elisabetta @mammadidue

Rispondi