Probabilmente questo articolo mi viene dal cuore. Probabilmente è come quella sera in cui decisi che la mia tesi doveva parlare di “Autodeterminazione e Testamento Biologico”.

Sono convinta che, oggi più che in altre epoche, nonostante l’enorme mole di conoscenza che abbiamo, siamo ignoranti in molti campi.

Ormai la gente si documenta da internet.

Pochi sono quelli che vanno realmente a capire se le fonti concesse siano o meno attendibili. Tutti si sentono in diritto di parlare e giudicare apponendo sentenze anche su cose delle quali conoscono poco o niente.

Inizio così il mio articolo, forse il primo realmente serio che mi sia venuto in mente di scrivere, perchè in questi giorni la vicenda di Charlie ci sta nuovamente ponendo di fronte a concetti difficili da affrontare, come il fine vita, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, l’autodeterminazione.

Mi tocca da vicino questo argomento. Essendo infermiera, posso affermare che qualsiasi atto il personale sanitario metta in opera, è rivolto inevitabilmente al meglio per il paziente, ospite o cliente che sia. Nessuno di noi (e credo di parlare per l’intera categoria) si sognerebbe di attuare meccanismi che creino danno a qualsiasi essere umano, andando contro ideali, credenze e convinzioni solamente per seguire virtù, conoscenza e deontologia. Sia che si tratti di tenere in vita (e parlo del semplice mantenere funzioni vitali base) o di decidere che non sia più il caso di effettuare trattamenti terapeutici, dentro di noi si scatenano mille dubbi, mille incertezze, troppi “ma” ed infiniti “se”.

La prima volta che mi trovai di fronte alla morte avevo circa 17 anni, un mio grande amico per un incidente venne dichiarato morto cerebralmente ed i genitori decisero di donare gli organi, rispettando le sue volontà. Per la prima volta sentii parlare di morte cerebrale e di autodeterminazione. Iniziai ad informarmi sull’ormai famosissimo, da tempo discusso, e mai attuato a livello legislativo, testamento biologico.

Non mi soffermerò sulle tempistiche bibliche di questa legge che non so se vedrà mai la luce, posso solo dire che io il mio testamento biologico l’ho scritto. “Sia mai mi succedesse qualcosa”, non vorrei che fossero altri a decidere per me, perchè la caratteristica base di questo scritto è l’autodeterminazione cioè la possibilità della persona di poter decidere per sé nel pieno delle sue facoltà mentali e fisiche.

Per me la vita non è il mero respirare accompagnato da 200 tubi che entrano ed escono da un corpo inerme. Un corpo, che se mai dovesse “destarsi” da questa condizione, avrebbe talmente tanti danni cerebrali da non essere compatibile con niente. Per me la vita è sorridere, è piangere, è il calore delle persone che mi circondano, è fare l’amore, è accogliere a pieno tutte le emozioni e viverle senza restrizioni, quelle restrizioni che inevitabilmente giungerebbero non potendo più muovere nemmeno gli occhi per guardare intorno.

Con il passare degli anni sto comprendendo che a volte bisogna inevitabilmente arrestarsi di fronte ad una scelta, forse troppo spesso, poco consapevole: sto facendo il bene per chi amo cercando di tenerlo in vita ad ogni costo, oppure è l’egoismo che mi spinge a farlo? Egoismo di non riuscire più bene a capire quale possa essere il mio posto una volta venuto a mancare il mio affetto?

Quasi mai chi si trova ad affrontare una scelta difficile che riguarda il proprio caro si pone una domanda del genere, anzi spesso si è convinti che si stia facendo il meglio per quella persona. In famiglia non si parla mai della morte, delle ipotetiche cose che la vita potrebbe riservarci. Non si è aperti con i nostri cari, non si spiegano le motivazioni dei perchè si opterebbe per una cosa piuttosto che per un’altra. Tutto ciò naturalmente può riguardare esclusivamente chi da adulto è in grado di poter decidere per sé. Per i bambini e per chi ha patologie che portano a non poter decidere invece, è tutta un’altra storia. In quel caso i tutori, devono necessariamente farsi carico della decisione, avendo sulle spalle un fardello enorme che li accompagnerà per sempre. A volte non sono lucidi. Decidono secondo l’affetto, le emozioni e le sensazioni di quel momento. Spesso non guardano oltre e nonostante pensino che la speranza sia l’ultima a morire, devono in qualche modo dare udienza a chi, a differenza loro, guarda la vicenda con occhio clinico e super partes.

La sanità è un bene primario, la qualità della vita lo è. Allora perchè non dovrebbe esserlo la morte? In fin dei conti la morte è solamente l’ultimo passaggio di quella che abbiamo chiamato vita. E’ un livello obbligato al quale tutti prima o poi dobbiamo piegarci. Renderla degna, renderla dignitosa è un atto dovuto prima di tutto a noi e a quello che abbiamo passato negli anni precedenti.

Credo che proprio la dignità sia quel qualcosa che ancora manca a tante delle tanto discusse morti come quello di Welby, Englaro, ed ora il piccolo Charlie.

Ho avuto per mia fortuna l’opportunità di conoscere la Sig.ra Welby mentre scrivevo la mia tesi. Una donna ferma, con i piedi per terra, che le domande che ho scritto in precedenza, se le è poste talmente tante di quelle volte da non riuscire più a contarle!

Leggiamo i libri scritti da Piergiorgio Welby e quelli di Beppino Englaro, probabilmente capiremmo che la vita e la morte hanno bisogno di più rispetto.

Federica Lepri

1 commento il Troppi “ma” ed infiniti “se”

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